Umani e macchine

Carlo Bordoni (a cura di), Il primato delle tecnologie. Guida per una nuova iperumanità, Mimesis, pp. 230, euro 15,20 stampa

La collana Il caffè dei filosofi di Mimesis nasce per illuminare e decostruire oggetti e emergenze dell’attualità culturale – dalle serie TV alle arti marziali, dal trumpismo alla Marvel – alla luce di una narrazione critica, dalle parti di una filosofia del contemporaneo stretto, se non proprio di una pop filosofia. “Il primato delle tecnologie” – il plurale, alla fine, è majestatis: si parla di automazione dell’intelligenza, riduzione numerica dell’esperienza, sorveglianza e controllo dell’ambiente, insomma del Digitale – sceglie un oggetto, anzi un iperoggetto, che non si può distanziare (oops…) o circoscrivere, il sistema nervoso dell’antropocene, di cui pensavamo di occupare il centro, che ci interconnette ogni giorno come nodi umani, soggetti duali, online e onlife, come si dice.

Indirizzata già dal sottotitolo – “Guida per una nuova iperumanità” – verso una verifica della prospettiva post-mcluhaniana, diciamo subito che l’antologia curata da Carlo Bordoni si rivolge a chi cerca una visione d’insieme e non pensa che la filosofia debba perdersi in troppi dettagli. Il volume offre una significativa overview, accogliendo e remixando contributi orizzontali di biologi (Di Mauro), sociologi dei media (De Kerckhove), studiosi di letteratura e di cinema (Gallo, Gramantieri, Tani), e ovviamente filosofi (Sini, Stiegler, Fadini, Maffesoli e altri), lasciando al lettore il compito di dialettizzare posizioni storicamente distinte per impostazione e distanti per scuola di pensiero. Proviamo a dargli una mano.

Cosimo Accoto, ricercatore del MIT, di cui abbiamo recensito qualche mese fa su qui su Pulp Libri Il mondo ex machina si chiede, sulla scorta di Lev Manovich e di Wendy Hui Kyong Chun, cosa significhi oggi – e più ancora domani – vivere in una software society, in un’economia-mondo programmabile e supervisionata dalle AI, dove l’operatività e le transazioni sono prevalentemente machine to machine mentre il ruolo degli umani nella divisione del lavoro sarà sempre più in bilico tra potenziamento (augmentation) e sfruttamento (heteromation).

Una prospettiva non solo concettuale, che convoca le ragioni dell’etica e la cura per il futuro (if any…), indagate in particolare nell’intervento di Bernard Spiegler: “La fine del mondo è sempre intesa in due sensi non semplicemente opposti, ma bipolarizzati: il mondo può scomparire, come fine del mondo, e deve trovare un fine che differisca questa fine.” Più che dell’essere umano e della sua civiltà, un attimo nella storia della biosfera, che oggi percepiamo a un bivio, occorrerebbe preoccuparsi “dell’essere-non-inumano” – cioè non amorale – “sempre in grado di diventare un essere-inumano.”

Su un altro piano, in quella che ha l’aspetto e tutta la consistenza di una brillante lectio magistrais su Marshall McLuhan e la scuola di Toronto, con tanto di decalogo mcluhaniano, Derrick de Kerckhove richiama il contributo della generazione “protocibernetica” (definizione di Gene Youngblood) a proposito del mondo dopo, cioè di adesso: “Con McLuhan divenne chiaro che l’individualismo occidentale e la sua concomitante psicologia autonoma sono in gran parte dovuti alla possibilità incoraggiata solo dai libri di inventare la propria mente”. O, detta alla Mcluhan: “Il prossimo medium, qualunque esso sia, potrebbe essere l’estensione della coscienza”.

Una prospettiva – l’avvento di una cultura “machina”, intrinsecamente postafabetica – che in alcuni contributi sembra rianimare l’eterno dibattito tra apocalittici e integrati: se per Umberto Galimberti equivarrebbe alla “fine della comunicazione” tout court, perché “sotto la falsa rappresentazione di un computer personale, ciò che si produce è sempre di più l’uomo di massa” (ma non era personal?) per Michel Maffesoli – che celebra le “tribù” Twitter e quelle per la verità estinte di MySpace, Second Life e Orkut – significherebbe il “reincanto del mondo” che si fa strada nella postmodernità.

Rispetto alle suggestioni umanistiche vale forse il richiamo di Carlo Sini sulla natura neotenica dell’ homo habilis: “ L’uomo, gli esseri umani, sono esseri tecnici per eccellenza e per essenza: tutte le chiacchiere indebitamente “umanistiche” o “spiritualistiche”, che immaginano l’Uomo in sé come una sorta di soluzione di ogni problema, qualcosa da privilegiare e da proteggere nella sua essenza naturale o misteriosa, nei suoi destini speciali e magari nella sua provenienza da un assoluto ed enigmatico “essere”, vengono meno”. Un approccio che, indirettamente, aiuta anche a inquadrare le basi della possibile iper umanità evocata nel titolo del libro: “Non vi è nulla di letteralmente “interno” nel soggetto, poiché esso è il prodotto della interiorizzazione delle risposte sociali alla voce. La cultura è una macchina, un fenomeno auto-semovente e in questo senso un automa”.

Testi di Cosimo Accoto, Carlo Bordoni, Vanni Codeluppi, Derrick de Kerckhove, Lelio Demichelis, Ernesto Di Mauro, Pierpaolo Donati, Adriano Fabris, Ubaldo Fadini, Marcello Faletra, Umberto Galimberti, Domenico Gallo, Riccardo Gramantieri, Giuseppe O. Longo, Michel Maffesoli, Alberto Oliverio, Matteo Rima, Carlo Sini, Bernard Stiegler, Stefano Tani