L’Africa tra letteratura e antropologia

Michel Leiris, L’Africa fantasma, Quodlibet Editore, tr. Aldo Pasquali, pp. 748, euro 34,00 stampa

L’origine dell’interesse per l’Africa da parte di Michel Leiris (1901 – 1990) risale probabilmente alla lettura del romanzo Impressions d’Afrique di Raymond Roussel (1877 – 1933), amico di lunga data della famiglia Leiris e molto ammirato da André Breton e dai surrealisti. Scrisse Raymond Roussel, rendendo omaggio allo scrittore che considerava il suo maestro, Jules Verne: “Ho viaggiato molto. In particolare nel 1920-21, ho fatto il giro del mondo attraverso le Indie, l’Australia, la Nuova Zelanda, gli arcipelaghi del Pacifico, la Cina, il Giappone e l’America […] Ma, da tutti questi viaggi, non ho mai ricavato nulla per i miei libri. Mi è sembrato che la cosa meritasse di essere segnalata tanto dimostra chiaramente che per me l’immaginazione è tutto”. Leiris citò ampiamente il passo di Roussel nel suo saggio Concezione e Realtà in Raymond Roussel (in Locus Solus, Einaudi, 1975), in cui analizza l’opera dello scrittore soffermandosi in particolare su Locus Solus e Impressions d’Afrique (Rizzoli, 1982). Il giovane surrealista dissidente – amico intimo di Georges Bataille, più tardi membro con lui del Collège de sociologie sacrée (e della sua propaggine riservata, la “società segreta” Acéphale), collaboratore di La Révolution Surréaliste prima, di Documents e di Minotaure poi – pur non avendolo preso alla lettera, deve aver tenuto ben presente il concetto espresso da Roussel, quando l’etnografo Marcel Griaule lo coinvolge, con l’incarico di segretario e archivista, nell’equipe della Missione Dakar-Gibuti che per più di due anni, tra il 1931 e il 1934, attraverserà l’intera Africa nera francese, dall’Atlantico al Mar Rosso. “Stanco della vita che conduceva a Parigi, considerando il viaggio come un’avventura poetica, un metodo di conoscenza concreta, una prova, un mezzo simbolico per fermare la vecchiaia percorrendo lo spazio per negare il tempo” – come scriverà più tardi Leiris, parlando di sé in terza persona – l’”uomo di lettere”, quasi negandosi come tale, si consegna ad un’avventura che deve rappresentare per lui anche l’iniziazione alla ricerca etnografica. Ma “Il suo tentativo di evasione si è rivelato fallimentare ed egli, tra l’altro, non crede più al valore dell’evasione” – confesserà poi.

Michel Leiris, L’Africa fantasma,Soprattutto sul piano etnografico, il suo monumentale diario quasi giornaliero della spedizione – che Leiris intitolerà L’Afrique fantôme: il termine “fantasma” sarà scelto per alludere “al mio gusto del meraviglioso […] ma espressione soprattutto della mia delusione di occidentale in crisi” verso “quell’Africa in cui avevo trovato molte cose ma non la liberazione” – resta problematico. Quell’etnografia del sé, che l’autore intende perseguire – da compagno di strada dei surrealisti – quel massimo di verità che intende raggiungere, allontanano il testo dal risultato che organizzatori – tre ministeri e ventuno istituzioni ufficiali – e compagni di viaggio si aspettano: non una relazione scientifica, non un resoconto oggettivo dell’esplorazione, ma “una cronaca personale, un diario intimo che avrebbe potuto essere benissimo redatto a Parigi, ma è stato tenuto in giro per l’Africa. Qualcuno mi rimprovererà di attribuire troppa importanza alla MIA individualità, […] è portando la soggettività ai suoi estremi che si raggiunge l’oggettività”. Così l’autore non manca di registrare, oltre e più che i fatti esterni, sogni, progetti di narrazioni, fantasie sessuali, polluzioni notturne, crisi depressive, infatuazioni, pruriti: “Vorrei avere il coraggio di scrivere in questo quaderno cose come: oggi ho cacato così, ho fatto l’amore così, ho fatto questi pensieri su questo e quel tale, mi sono masturbato, ho mangiato di buon appetito, ho riso di questa stupidaggine…”.

Per di più Leiris denuncia senza edulcoramenti i mezzi spicci e predatori con cui gli etnologi si appropriano degli oggetti artistici o rituali degli indigeni per arricchire le collezioni del futuro Musée de l’Homme parigino e con cui estorcono loro informazioni su celebrazioni e tradizioni segrete o particolari di canti e danze riservate agli iniziati (il bottino catalogato ammonterà, tra l’altro, a 3600 oggetti; annotazioni di 30 lingue; 300 amuleti e manoscritti etiopici; 6000 fotografie; una collezione di pitture abissine…). La giustificazione dello studioso ancora maschera il dominio del colonialista: Leiris si rimprovera di usare in molte occasioni esattamente gli stessi metodi dei compagni, il furto e l’inganno. Per tutti questi motivi, l’uscita del libro nel 1934, viene accolta con aperta e quasi brutale ostilità, il capo missione Marcel Griaule – assistente all Ecole des Hautes Etudes, etnografo e linguista – furioso, definisce l’ex amico, “un uomo senza onore che ha compromesso l’avvenire degli studi sul campo”, rompendo ogni rapporto con lui; Marcel Mauss – luminare dell’antropologia culturale francese – riduce Leiris a un “letterato” e “non un etnologo serio”; il Ministero dell’educazione nazionale stigmatizza il libro come “opera la cui apparente intelligenza è dovuta soltanto a una grandissima bassezza di sentimenti”. Gran parte delle copie vanno al macero: la distruzione totale verrà completata sette anni dopo, nel 1941, ormai sotto l’occupazione tedesca, quando il Ministero degli interni del governo di Vichy interdice ufficialmente l’Africa fantasma. Solo nel 1951, il volume sarà finalmente ristampato venendo riscoperto da molti, “insieme a Cuore di tenebra di Joseph Conrad” come “uno dei capolavori che l’Africa ha ispirato”.

A quell’epoca il surrealista è ormai divenuto davvero un etnologo, ha pubblicato diversi testi scientifici utilizzando in modo diverso i materiali raccolti e le esperienze vissute durante il viaggio, ha avviato un fecondo sodalizio con il collega Alfred Metraux (due personalità affini anche nella depressione: Metraux morirà suicida, Leiris ci proverà senza successo nel 1957), e svolge un’attività direttiva all’interno del Musée de l’Homme che ha contribuito a fondare. Parallelamente all’etnologo Leiris però, continua a essere più attivo che mai il letterato Leiris. La sua spasmodica necessità di confessione assoluta, di autobiografismo integrale, produce frutti lussureggianti e preziosi. Dopo L’Africa fantasma, che è un primo passo ancora a metà strada fra due mondi – la letteratura e l’etnologia – che Leiris sempre vedrà come contigui e strettamente connessi ma distinti, sarà tutto un fiorire di testi memorabili. Pubblicherà nel 1938 Miroir de la tauromachie, una serie di riflessioni sulla corrida dedicate alla memoria di Colette Peignot, in arte Laure, una delle compagne di Georges Bataille che di Leiris fu fraterna amica, volume impreziosito dai disegni del pittore surrealista Andrè Masson: in quel periodo tutto il gruppo, Bataille, Leiris, Masson, Laure – fino alla sua morte prematura ad appena trentacinque anni – insieme a Pierre Klossowski, erano impegnati Acéphalnell’oscura impresa di Acéphale: la società segreta che intendeva combattere il fascismo mobilitando “le forze del  sacro impuro”, “la dimensione dionisiaca”, la “rabbia parricida anti-autoritaria,  di ebbrezza estatica, del culto della madre come forza  ctonia, devastante,  liberatoria”, simbolizzata dalla figura dell’Acefalo, emblema del gruppo, corpo umano decapitato, che porta la testa/teschio al posto delle gonadi, intendendo “La forma eccezionale di ablazione sacra della parte più elevata del corpo – che equivale alla più bassa, suscita e propaga una automutilazione collettiva seguita da una rinascita […] dove sarà possibile recuperare le forze nere del mito”. Un “contrattacco” che Bataille e i suoi accoliti avrebbero voluto sferrare sottraendo Nietzsche, il mito e la ritualità ai fascisti, attraverso un essoterico “Collegio di sociologia sacra” a fianco di Roger Caillois, e l’esoterica comunità segreta di Acéphale, “la cui missione sarebbe quella di far sorgere in seno al mondo profano, mondo del servilismo funzionale, il mondo sacro della totalità dell’essere (Klossowski)”. Nonostante le accuse di “estetismo prefascista” (Walter Benjamin) o di surfascismo (Breton), i membri del Collegio e di Acéphale osservavano una serie di prescrizioni rituali inequivocabili, come i festeggiamenti per il 21 gennaio, giorno dell’esecuzione sulla ghigliottina di Luigi XVI e il divieto assoluto di stringere la mano a un antisemita (per approfondire consigliamo: Il collegio di sociologia 1937-1939, a cura di  Denis Hollier, Bollati Boringhieri, 1991; Georges Bataille, La congiura sacra, Bollati Boringhieri, 2008; Maurice Blanchot, La comunità inconfessabile, SE edizioni, 2002).

Picasso, "Leiris"
Picasso, “Leiris”

Nel 1939 poi uscirà L’Âge d’homme, dedicato a Georges Bataille e introdotto da un significativo testo intitolato La letteratura considerata come tauromachia. Si tratta del primo vero tentativo sistematico di esplorazione autobiografica, come scrive Andrea Zanzotto, traduttore e curatore della prima edizione italiana per I libri della Medusa di Mondadori: “In definitiva, ciò che si dovrà produrre come vera vita sarà appunto un testo, anzi, un testo letterario, anzi, un testo poetico. Quella che presumibilmente dovrebbe partire come indagine ‘obiettiva’, e per questo crudelissima, girando su se stessa deve rientrare nella libertà assoluta del testo poetico […] un bisogno di confessione intesa davvero come ‘sacramento della penitenza’, esorcismo contro una colpa oscura […] che ha bisogno di credere in quel tipo di spogliarello-scorticamento che tanto brucia di ‘scottanti’ verità da incendiare la pagina su cui viene trascritto […] Indagare sul proprio microcosmo gli si rivela tanto improbabile quanto indagare sul macrocosmo”. L’indagine assumerà le dimensioni titaniche dei quattro successivi volumi di La Règle du Jeu, trascrizione poetica totale della vita di Leiris, praticamente dalla culla alla tomba, divisa negli episodi temporali consequenziali di Biffures (1948),

Minotaure

Fourbis (1955), Fibrilles (1966) e Frêle Bruit (1976). Solo i primi due volumi furono tradotti qualche anno fa da Einaudi (il secondo, adattato in italiano come Carabattole, è praticamente introvabile), si spera che l’opera venga riproposta e conclusa da Einaudi o altro editore di buona volontà, dando finalmente anche al lettore italiano la possibilità di apprezzare nella sua interezza la monumentale epopea personale di questo anti-Proust (o oltre-Proust) contemporaneo.

Intanto Quodlibet ha fatto la prima mossa ristampando un testo fondamentale come L’Africa fantasma, nell’ormai storica traduzione di Aldo Pasquali, con una presentazione di Jean Jamin e un dettagliatissimo saggio della curatrice Barbara Fiori, Fantasmi d’Africa. Speriamo che la stessa Quodlibet o altri proseguano nell’esplorazione integrale dell’opera di un intellettuale francese da noi non ancora conosciuto e frequentato quanto meriterebbe.

Bibliografia italiana (parziale) di Michel Leiris:

  • L’Africa fantasma, tr. e cura di Aldo Pasquali, introduzione di Guido Neri, Collana Nuovo Mondo, Milano, Rizzoli, 1984
  • L’Africa fantasma, tr. di Aldo Pasquali, a cura e con una postfazione di Barbara Fiore, con un testo di Jean Jamin, Collana Humboldt, Macerata, Quodlibet, 2020, [con le annotazioni dell’Autore per le edizioni francesi del 1951 e 1981]
  • Specchio della tauromachia, tr. Andrea Calzolari, Reggio Emilia, Elitropia, 1983
  • Specchio della tauromachia e altri scritti sulla corrida, trad. Carlo Pasi e Alfredo Salsano, Torino, Bollati Boringhieri, 1999
  • Età d’uomo, tr. e postfazione di Andrea Zanzotto, Milano, Mondadori, 1966; Milano, SE, 2003
  • Notti senza notte e alcuni giorni senza giorno, tr. Andrea Zanzotto, Milano, Mondadori, 1966 (in appendice alla prima edizione di Età d’uomo)
  • Biffures, tr. Eugenio Rizzi, prefazione di Guido Neri, Collana Letteratura n.62, Torino, Einaudi, 1979
  • Carabattole, a cura di Ivos Margoni, Collana NUE n. 226, Torino, Einaudi, 1998

Non abbiamo incluso i testi etnologici e la saggistica in generale.